lunedì 4 dicembre 2017

Assassinio sull'Orient Express - la recensione

Se c'è qualcuno che è a proprio agio nella trasposizione cinematografica di grandi classici letterari, quel qualcuno è sicuramente Kenneth Branagh. Basti pensare alla sua lunga esperienza shakesperiana, ma anche al recente Cenerentola che aveva visto una personalizzazione netta da parte del regista inglese della favola classica.
In questo caso Branagh si approccia a quello che è il padre di tutti i gialli, quel Assassinio sull'Orient Express di Agatha Christie che è diventato il simbolo di ogni whodunit e la più famosa fra tutte le avventure del detective belga Hercule Poirot. Il confronto con il testo letterario era quindi imponente, e a complicare le cose si inseriva anche un confronto cinematografico, perché Assassinio sull'Orient Express di Sydney Lumet, con un grandissimo Albert Finney nel ruolo di Poirot, è un classico del cinema, inoltre la più iconica delle rappresentazioni del detective, quella di David Suchet per la ITV, conta più di settanta episodi.
Una lunghissima premessa per poi arrivare quindi alla fatidica domanda: Branagh ha avuto successo?

La risposta è assolutamente sì, senza remore e senza dubbi questo è un film riuscito sotto molteplici aspetti.
Kenneth Branagh sa perfettamente che la materia di cui sta trattando è conosciuta a chiunque, che persino chi non ha mai visto un film o letto un libro su Poirot si ritroverà probabilmente davanti a una storia e a delle dinamiche che sapranno di già visto, è inevitabile perché da questo specifico delitto a porte chiuse sono derivati tutti gli altri delitti a porte chiuse della letteratura e del cinema. Branagh mantiene una grandissima aderenza al testo, pur con qualche cambiamento che dona attualità e freschezza al tutto, e gioca soprattutto sul suo protagonista, Poirot, a cui dà egli stesso volto e anima. Dove nel romanzo della Christie e nei precedenti film il detective era sempre impeccabile, affabile ma sostanzialmente privo di un vero approfondimento psicologico, qui Branagh propone un Poirot maggiormente segnato dal suo lavoro, dalla ricerca costante di un equilibrio in tutte le cose e, infine, segnato da quanto accaduto sul treno, talmente profondamente da incidere poi sul finale, sprigionando una potenza emotiva straordinaria che era sempre stata assente nelle altre trasposizioni.

Branagh decide poi di portare il suo tocco autoriale nella parte più tecnica del film, con una fotografia calda e impeccabile nel rendere vivide e reali le atmosfere d'epoca, una musica avvolgente e coinvolgente, e soprattutto una regia che regala grandissimi tocchi da maestro, un impianto fondamentalmente teatrale in cui lo spettatore è posto al di fuori di ciò che accade sullo schermo, osserva i personaggi attraverso i finestrini del treno, e la scena del crimine con una ripresa meravigliosa dall'alto in cui ciò che si aspettava di vedere è tenuto nascosto e il momento è vissuto unicamente dalle parole di Poirot e degli altri personaggi. 

In ultimo, dove il film vince ancora è nell'ampio cast in cui nessuno è fuori posto e tutti danno un'interpretazione perfetta, con Branagh cuore indiscusso del film con il suo Poirot dagli occhi lucidi e la voce stanca, e una meravigliosa Michelle Pfeiffer che dà il meglio di sé nella scena più bella e intensa del film.

Chi cerca un film d'azione, cyberpunk, fracassone, rimarrà deluso e si annoierà parecchio, perché il ritmo è lento e compassato, ma non si poteva davvero chiedere di meglio nella riproposizione di un classico. Kenneth Branagh ribadisce che in questo non sbaglia mai.

0 commenti:

Posta un commento