lunedì 15 maggio 2017

Sense8: elogio della diversità

Otto persone.
Otto individui diversissimi fra loro per genere, etnia, orientamento sessuale, esperienze di vita.
Otto persone sparse per il mondo, da San Francisco a Seul, da Nairobi all'Islanda al Messico e ancora Mombay e Chicago, passando da Berlino.
Eppure questi otto uomini e donne, così apparentemente lontani, così profondamente diversi, sono uniti dalle emozioni, dalle sensazioni che condividono l'uno con l'altro, in un'intreccio tanto affascinante ed emotivamente appagante per lo spettatore più tenace quanto inizialmente difficile da comprendere appieno.

Era il 2015 quando, sulla piattaforma Netflix non ancora sbarcata in Italia, approdava l'ultima fatica degli allora Fratelli Wachowski (insieme a  J. Michael Straczynski), una summa del loro lavoro che va a unire la fantascienza visivamente rivoluzionaria e in un certo senso cervellotica di Matrix, il gusto puramente anarchico e idealista visto in V per Vendetta e soprattutto l'idea di concatenazione di vite vista in Cloud Atlas.
Proprio con quest'ultimo film la serie mostra più analogie, ma va ancora oltre, non giocando più sul continuo ritorno dell'anima, o sui piani temporali, ma sulla pura e semplice emozione.
L'intera prima stagione gettava le basi della storia complessiva, lasciando da parte la trama principale e le spiegazioni, concentrandosi quasi esclusivamente sui personaggi, portandoci a conoscerli pian piano, scoprendoli pian piano, da archetipi di un certo tipo di essere umano (il poliziotto di buon cuore, l'attore di b movies d'azione che nasconde la propria omosessualità, la donna coreana in una società maschilista) a figure a tutto tondo, sfaccettate, rappresentanti dei più diversi tipi di umanità, quasi simbolo dell'umanità stessa nelle loro differenze.
E infatti questa seconda stagione, oltre ad approfondire e a spingere sull'acceleratore della trama, punta tutto su una dichiarazioni dì intenti ben precisa che le ora sorelle Wachowski non si limitano a suggerire, ma proclamano a gran voce tramite i personaggi stessi: c'è un intero mondo di diversità nel genere umano, ed è questa diversità che ne determina la bellezza.
“Ora ci sono otto te stessi” dice Jonas, inizialmente guida spirituale, mentore e guida per lo spettatore oltre che per i sensate, ed è proprio questa frase iniziale che paradossalmente riassume l'intera serie e ne incarna la bellezza. Non ci può essere un'unità senza la moltitudine, sembrano dirci le Wachowski, non c'è un vero futuro per l'Homo Sapiens se non si condividono emozioni e pensieri, se non si va oltre l'accettare e basta le differenze, se non le si abbraccia come vera ricchezza, se non si passa da Homo Sapiens a Homo Sensorium.
Bisogna approcciarsi così a Sense8, senza focalizzarsi troppo sulla trama fantascientifica, ancora troppo nebulosa, ma farsi trasportare dalla musica, dalle immagini (non si è mai vista, in televisione, una tale varietà di luoghi, tutti magnificamente fotografati) dai personaggi, tutti con un cuore impossibile da non amare, nessuno più importante degli altri, tutti ugualmente fondamentali.
Bisogna farsi trasportare dalle emozioni, in questa serie che punta al cuore e non alla mente, alla naturale propensione dell'essere umano a non rimanere mai solo, ma a cercare sempre la compagnia di qualcun altro, l'intimità di un'altra persona. 
Dopo una seconda stagione che si è messa a nudo profondamente, svelando la sua anima più profonda, non resta che aspettare la terza, sperando che arrivi presto.





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